W.I.N.S.T.O.N.

di AsinoMorto

Era il tempo della fretta, delle frenetiche giravolte tattiche, delle convinzioni variabili. I tempi nuovi che qualcuno pensava dovessero essere improntati alla leggerezza, furono invece contaminati dalla superficialità.

Alla fine la maggioranza delle persone cominciò a considerare la critica un fastidio, il dissenso un impiccio, il dubbio uno scandalo. La propaganda divenne anestetico, l’egemonia gabbia, la pacificazione sonno.

Solo in rete rimaneva ancora qualcuno che per principio, istinto o dignità, provava a tenere vivo spirito critico e dubbio, faceva domande, sollevava contraddizioni, cercava incessantemente altri punti di vista.

Poi arrivò W.I.N.S.T.O.N.

W.I.N.S.T.O.N. stava per Wide Innovative Neural Software Timeline Orchestrator & Normalizer ed era un sofisticato analizzatore di sentiment o qualcosa del genere. Analizzava ogni tweet, post, feed che veniva scritto nel paese e attraverso chissà quali pattern riusciva a capire se il contenuto era riferito al Governo, a qualche suo membro o al suo operato. E se il sentiment era positivo o negativo, nel qual caso immediatamente rispondeva con un commento simile a questo:

“Criticare senza dare alternative è inutile. Perché lo fai?”

La cosa sembrò più uno scherzo di pessimo gusto, una caduta di stile. Nessuno poteva realmente credere che dietro quell’account ci fosse un qualche apparato repressivo, queste cose non succedono qui da noi, giusto? Giusto?

Giusto o sbagliato presero a girare voci incontrollate di persone scomparse, di carceri speciali, addirittura di torture e esecuzioni sommarie. Quasi sicuramente erano solo voci, antichi incubi che ritornano alla memoria; Ma in fondo, anche se fosse stato tutto inventato, avrebbe fatto differenza?

E poi c’erano i “lupi”. Ogni tweet di W.I.N.S.T.O.N. era un via libera per i “lupi”, persone normali, comuni utenti della rete, quasi tutti in buona fede, ma istintivamente dalla parte del potere di turno, del più forte, di chi stava vincendo.

I “lupi” non riuscivano a comprendere perché qualcuno volesse infrangere la tranquillità del discorso prevalente, volesse mettere in discussione il capo, l’opinione della maggioranza. I “lupi” erano sinceramente turbati dall’idea stessa che il potere in cui loro credevano potesse avere torto.

I “lupi” erano perfette macchine per soffocare ogni voce di dissenso.

Aspettavano solo che il potere indicasse loro la strada.

Aspettavano solo che arrivasse W.I.N.S.T.O.N. a indicare loro il nemico.

– Voi sapete solo criticare
– Ma voi chi?
– Voi che odiate il cambiamento
– Ma che c’entra scusa…
– Ma tu cosa proponi?
– Ma guarda che esprimere dissenso fa parte della…
– Ah non sai nulla, allora perché parli?
– Veramente si esprimeva soltanto un parere, senza la pretesa di…
– Ma la critica deve essere costruttiva
– Guarda che non sta a te stabilire…
– Quindi vuoi impedire di esprimere la mia opinione? Dimentichi Voltaire?
– Veramente Voltaire non ha mai detto…
– Sei ignorante e fascista
– Come fascista scusa, fascista lo dici a tua sorella
– Ecco non hai argomenti e sei sessista
– Riformulo, dillo a tuo cugino
– Cambi discorso eh?
– Vabbé ciao
– Scappa scappa, tutti uguali i sedicenti democratici
– Sono solo merde fasciste
– Quello sta con i centri sociali
– E’ un violento
– E’ uno che odia
– Vuole censurarti, imprigionarti, metterti ai ferri, a noi, sinceri democratici governativi
– Davvero non conosce Voltaire?
– Twitta al lavoro, ma dove lavora? Il padrone lo sa?
– E’ confuso, disturbato, è matto
– E’ pericoloso.

E la prima volta ti divertivi, anche la seconda e la terza; poi però ogni volta di più, subentrava una certa inquietudine, una specie di stanchezza allarmata.

E capivi quanto è facile intimidire, quanto è fragile la tua vita, che può essere distrutta dalla semplice idea che qualcosa o qualcuno possa metterla in pericolo. Capivi che non serve il manganello, l’olio di ricino, non servono feroci apparati di repressione.

Basta meno di un tweet, l’idea di un fantasma che affiora dalla memoria, l’idea di essere solo contro i lupi.

E alla fine, semplicemente, non dicevi più nulla.

Senza clamore, le voci si spensero tutte, una dopo l’altra, cedendo al rumore di fondo, all’indistinto chiacchericcio della propaganda.

Dopo un po’ anche io mi rassegnai, scrivevo sempre meno, poesie, amore, quelle cose lì. In fondo il coraggio uno non se lo può dare, siamo tutte rane nella pentola e l’acqua bolle, bolle, bolle e alla fine ho la mia vita e poi dai, diciamolo, il dissenso è una grande stronzata.

Poi arrivò quel tweet, da un account che seguivo spesso, non saprei nemmeno dire se era un uomo o una donna, forse una donna, per quel modo leggero di porre le frasi.

“Ogni cosa era a posto, tutto definitivamente sistemato, la lotta era finita. Era uscito vincitore su se medesimo. Amava il Grande Fratello.”

Ricordo bene quel momento di angoscia, lo sforzo di capire se quello fosse un estremo atto di ribellione, o l’ultimo messaggio prima di cedere le armi, arrendersi. Anche lei. O lui.

Quell’account, l’essere umano che vi stava dietro, non parlò mai più. Nulla per spiegare, nulla per sciogliere il dubbio e il nodo in gola. Furono ore lunghe, di pensieri oscuri.

Poi alla fine compresi. Era il segnale.

Preparai lo zaino con poche cose, niente di elettronico, qualche libro, di carta. Come tanti anni fa.

Chiusi tutti gli account, in sequenza, uno dopo l’altro. Cancellai ogni post, foto, tweet, link che avevo messo in rete in tanti anni. Dopo, devo ammettere, mi sentii meglio.

Ricordo ancora quel giorno, era primavera, il sole scaldava e la gente in strada viveva la propria vita, tutto normale, tutto andava bene.

Ora sapevo che non si poteva andare oltre, ora sapevo di non essere solo.

Fu quel giorno che entrai in clandestinità.