Io sono un ingegnere e nessuno più di un ingegnere è in grado di capire il fatto che ogni tecnologia, assieme ai benefici, comporta rischi e costi e che è sempre necessario valutare, sapendo purtroppo che non esiste qualcosa come il rischio zero.
Tutte le volte che prendiamo l’automobile per andare al lavoro, ci assumiamo il rischio di subire un incidente mortale, di rimanere gravemente feriti oppure, semplicemente, di non arrivare al lavoro per qualche malfunzionamento meccanico o problema sulla strada. Inoltre accettiamo un costo (benzina, assicurazione, tempo), paragonandolo ad altri costi che dovremmo sostenere se scegliessimo una alternativa (bicicletta, treno, elicottero). In sostanza, prendiamo l’automobile perché il profilo costo-rischio-beneficio è considerato vantaggioso.
Venendo al nucleare, la situazione è solo un po’ più complessa ma si basa sugli stessi presupposti, anche se purtroppo il tema è spesso affrontato con qualche deriva ideologica e emotiva e la cosa non aiuta.
Ho letto il post di un giovanotto che sosteneva (in sintesi) che quello che è successo a Fukushima dimostra che il nucleare è più sicuro di altre tecnologie, vedi disastro della Florida. Che, se posso dire, mi pare ragionamento irricevibile ed è come affermare di prendere l’autobus perché sui campi da sci ogni tanto ci scappa il morto.
Anche il buon vecchio Chicco Testa, con il tipico zelo del Convertito, ha tirato fuori un ragionamento simile, affermando che anche gli stabilimenti petrochimici creano danni ambientali, che è come dire che non c’è niente di male a fumare perché il cancro si prende anche mangiando la carne alla brace che magari è vero ma non migliora il livello della discussione.
Il problema purtroppo è che l’ingegnere è quello che in Africa, se vede un animale grigio che pesa tra le tre e le quattro tonnellate, assume che sia un elefante. Che a parte la battuta, qui sta a significare che non sempre si interpretano i dati nel modo giusto.
Tutta la premessa per dire che, per come la vedo io, la questione nucleare SI, nucleare NO si sviluppa semplicemente nella risposta alle seguenti domande:
1. sono disposto ad accettare i rischi di questa tecnologia, ovvero esiste una tecnologia a rischio inferiore ?
2. sono disposto ad accettare i costi di questa tecnologia, ovvero esiste una tecnologia a costo inferiore ?
In sintesi, dal punto di vista del profilo rischio-costo-beneficio il nucleare come fonte di energia per il nostro futuro è “accettabile” o c’è qualcosa di meglio ?
Parliamo dei costi. Una centrale costa dai 3 ai 5 miliardi di euro e ci vogliono circa 50 mesi per metterla in funzione. In Giappone, ad oggi, ci sono 18 centrali funzionanti (diciamo 17, alla luce delle ultime novità) che producono circa un terzo del fabbisogno energetico del paese.
Diciamo che in Italia dovremmo aver bisogno di circa 4 o 5 centrali (circa 10-15 reattori) per raggiungere il 30% del fabbisogno (sotto di questa percentuale, l’Unione Europea dice che la fatica non varrebbe la spesa). Fanno tra i 12 e i 25 miliardi di euro, nell’arco di circa 5 anni, anche se a regime si dovrebbe arrivare dopo il 2020.
A partire da quella data, il costo del singolo Megawatt nucleare dovrebbe essere competitivo rispetto ad altre fonti di energia, prima di tutto quella fossile.
Dovrebbe. Perché anche tra gli esperti i pareri sono variegati e secondo me ciò dipende dalle troppe variabili del “modello”, spalmate su troppi anni. In altre parole, il rischio è quello di metterci molto più tempo o che costi molto più del previsto (come sta succedendo in Francia e Danimarca) e che quindi il costo del Megawatt non sia quello previsto ma superiore. L’animale africano grigio da tre tonnellate potrebbe non essere un elefante.
Ma parliamo del rischio “vero”. Costruiamo una centrale a Rimini (solo per fare un esempio) e ipotizziamo che ci sia solo un rischio su un milione che possa avvenire un incidente paragonabile a quello di Chernobil. Se ciò succedesse, e abbiamo detto che ipotizziamo solo una possibilità su un milione, questo comporterebbe l’evacuazione di buona parte di Emilia Romagna, Toscana, Veneto e Marche.
A parte il fatto che potrebbe essere complicato trovare un posto dove spostare tutta quella gente, potrebbe essere, come dire, spiacevole perdere in un colpo solo Venezia, Firenze e quasi tutto il sistema produttivo del nord Italia.
Sintesi. Il nucleare impone l’assunzione di un rischio ridotto, ridottissimo, di una evenienza dalle conseguenze catastrofiche (per usare un eufemismo). E questo rischio, diciamo “non nullo”, andrebbe assunto a fronte di vantaggi incerti, tanto è vero che gli esperti ci si stanno accapigliando da anni.
Sintesi della sintesi. Se l’animale grigio da tre tonnellate non è un elefante, siamo nei guai. E non c’è piano B, opzione alternativa, way-out. Cornuti e mazziati.
C’è qualcosa di meglio del nucleare ? Ci sono le energie alternative che però costano e non riescono a garantire, allo stato della tecnologia, un rapporto costo-beneficio sostenibile. Però sono sicurissime.
Ma allora, se dobbiamo proprio spendere 20 miliardi di euro, perché non investirli nello sviluppo di energie alternative in modo da aumentarne l’efficienza e l’affidabilità ?
E qui torniamo da dove siamo partiti. Comunque la vogliamo mettere, è una questione di rischio che vogliamo assumerci. Da una parte abbiamo la potenziale desertificazione di mezza Italia per i prossimi cento anni (anno più, anno meno); dall’altra l’eventualità di trovarci all’esaurimento delle risorse fossili senza energie alternative “affidabili” e con il cerino spento in mano. Letteralmente.
Purtroppo, in questo momento nessuno ha un modello di rischio ragionevolmente affidabile e che ci aiuti nella decisione.
E allora, per quanto mi riguarda, se devo proprio rischiare, preferisco stare al buio tre sere a settimana nei prossimi 20 anni in attesa di trovare qualche altra fonte di energia, piuttosto che giocarmi il patrimonio genetico per i prossimi 100. Perché gli ingegneri valutano i numeri e le probabilità. Ma se numeri e probabilità non ce ne sono, preferiscono quando hanno un Piano B.
Ecco, l’ho detto.
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