La Pasqua di Dimitris Christoulas

di AsinoMorto

Il governo di occupazione di Tsolakoglu ha letteralmente azzerato ogni possibilità di sopravvivenza per quanto mi riguarda. Dipendevo da una modesta pensione che mi sono pagato in 35 anni di lavoro (senza alcun sostegno statale).

Vista la mia età avanzata, non ho modo di reagire in modo attivo – ma se un mio concittadino greco afferrasse un Kalashnikov, sarei pronto a stare al suo fianco. Non vedo altra soluzione che una fine onorevole prima di iniziare a rovistare i cassonetti in cerca di cibo.

Sono certo che un giorno la gioventù senza futuro prenderà le armi e impiccherà a testa in giù i traditori della nazione, come gli italiani fecero con Mussolini a Piazzale Loreto a Milano nel 1945.

Dimitris, farmacista, aveva 77 anni e si è sparato un colpo in testa, nascosto dietro un albero, il 4 aprile 2012, Piazza Syntagma, Atene.

Il suo, purtroppo, non è il primo, non sarà l’ultimo suicidio causato dalla crisi, in questi tristi anni.

Se non fosse che Dimitris ha lasciato un biglietto diverso dal solito, poche parole precise e misurate come un preparato di quando era ragazzo, l’equilibrio delle sostanze, un filo sotto, medicina, un filo sopra, veleno.

In queste poche righe, un lucido e tagliente testamento, Dimitris ha spogliato il Re e l’ha mostrato nudo, ha svelato la finzione della Grande Economia Necessaria, che è facile giocarsi il culo degli altri, rischiare a carte con la pelle degli esseri umani, l’intervista ai TG in prime time, le scrivanie di mogano e gli uscieri.

Che il PIL, lo spread, i derivati del cazzo, le mille manovre storiche, epocali, irrinunciabili, sono sangue versato e libbre di carne strappate e futuro spezzato. Sono i Dimitris che pagano. E non c’è nessuna facile exit strategy, per gente come lui.

E se avessi lacrime da versare, le verserei per Dimitris e non perché si è sparato in testa, povero vecchio.

E nemmeno per quel riferimento a Mussolini e alla Resistenza, di un vecchio di un altro paese, che ci sbatte in faccia il ricordo di quando eravamo Popolo e sapevamo combattere i traditori della nazione, li sapevamo riconoscere. E oggi forse non ci pensiamo nemmeno più.

Ma perché c’è qualcosa di profondamente immorale e tragicamente sbagliato, che urta le coscienze e umilia l’intelletto, quando un vecchio farmacista viene spinto fino a desiderare di prendere le armi, prima di rivolgere l’arma contro se stesso, lasciando ai figli l’esortazione alla rivolta. Che si è passato il segno e qualcosa si dovrà pur fare, per rimettere le cose a posto.

E soprattutto perché Dimitris, con quelle poche righe e con il suo gesto estremo, ci ha ricordato l’essenza intima e dolente del potere formidabile di noi 99%, che è quello dell’ape che muore quando punge e non lo fa perché pensa di uccidere o ferire, ma semplicemente per consuetudine quotidiana alla dignità e al coraggio.

E ci sarebbe di che disperare, ma siamo a Pasqua. E la Pasqua insegna a tutti, anche a noi vecchi miscredenti, che le lacrime vanno asciugate, la rabbia tenuta a freno, che se Dio è morto, si sa, dopo tre giorni poi risorge.

E se la speranza non è la propensione delle beghine ad attendere mute la Provvidenza, ma una tensione dello spirito a combattere e a non mollare mai, allora voglio credere che non sia un caso, che nel cognome di Dimitris ci sia il Cristo, nella fine di Dimitris ci sia la Passione.

Che nell’ultimo sberleffo al potere di un uomo tranquillo, cui hanno rubato tutto, senza riuscire a togliere niente, si possa trovare una speranza tranquilla e cocciuta, combattiva e furiosa.

Perché i poveri Cristi muoiono sulla croce, ma risorgono, anche se spesso bisogna aspettare più di tre giorni. Oppure, forse, è che non muoiono mai.

Buona Pasqua, a tutte le donne e gli uomini di buona volontà, a tutti i poveri Cristi del mondo.